13 Settembre 2023In Copywriting, Transcreation6 Minuti

Il potere evocativo delle parole

Nel marketing e nella pubblicità le parole non servono solo a informare le persone, ma soprattutto a suscitare un effetto emotivo. Per questo, noi che ci occupiamo di copywriting e transcreation non le scegliamo solo in base al loro significato, ma anche a quella che definirei — forse impropriamente — la loro valenza emotiva.

Una parola ha vari significati (in linguistica, accezioni).

Una parola può avere una sfumatura di significato che si aggiunge al suo significato di base (in linguistica, connotazione: “micio” significa “gatto” ma con una connotazione familiare, affettuosa).

La valenza emotiva, però, è qualcosa di diverso: si tratta del potere evocativo delle parole, che in buona parte è soggettivo, perché filtrato attraverso la nostra sensibilità personale. Porto ad esempio due casi reali, uno di copywriting e uno di transcreation, per illustrare le riflessioni che nascono anche intorno a parole apparentemente “banali”.

Copywriting: “incorniciato” vs “incastonato”

Sono alle prese con la scrittura di un testo di marketing per un fard.

La sua caratteristica è il packaging primario: la cialda con la polvere è contenuta all’interno di una ceramica decorata. Tra le varie formulazioni possibili, valuto “incorniciato” oppure “incastonato” in una ceramica.

A livello di significato, poco cambia: il fard è contenuto in una ceramica. Però se dico “incorniciato” paragono il fard a un’opera d’arte, mentre se dico “incastonato” lo paragono a una pietra preziosa. E, considerando il prezzo elevato del prodotto, direi che “incastonato” è più adatto a suscitare un certo tipo di effetto in chi legge. Anche perché “incastonato” è un termine meno diffuso di “incorniciato”, il che contribuisce a creare un’aura di “preziosità” intorno al fard.

Transcreation: “membri” vs “iscritti”

Mi occupo della transcreation di uno spot televisivo dall’inglese all’italiano in cui si dice che una certa community online di persone appassionate di moda second hand vanta “millions of members all over Europe”.

Se volessi rendere “members” senza pormi la questione del linguaggio inclusivo, che strade potrei scegliere? Tra le altre cose, potrei dire “membri” oppure “iscritti”.

Eppure “membri” lo detesto: come in inglese, significa anche “peni”, e già per questo lo scarterei. In più, tutti gli esempi che mi fornisce il dizionario di italiano hanno un retrogusto freddo e burocratico: “i membri del parlamento, del consiglio di amministrazione, del corpo diplomatico”. “Iscritti”, invece, mi sembra più “caldo”, perché mi dà l’idea di persone che hanno fatto qualcosa di concreto per entrare in una community. Peraltro, per rendere espressioni come “join the community”, usiamo comunemente il verbo “iscriversi” (“iscriviti alla community”), quello da cui deriva appunto il sostantivo “iscritto”. Per questi motivi, che riconosco essere in parte oggettivi e in parte dettati da idiosincrasie personali, ritengo che “iscritti” sia più azzeccato di “membri”.

I gusti sono gusti (?)

Quando svolgo un incarico, ci tengo a spiegare i ragionamenti che mi hanno portata a scegliere determinate parole. Però so bene che le mie scelte sono soggettive tanto quanto quelle di chi mi ha commissionato il lavoro.

Io qui ho spiegato razionalmente le motivazioni che stanno dietro a “incastonato”, ma sono certa che qualcuno potrebbe dirmi che è meglio “incorniciato”. Quanto a “membro”, non mi stupirei se qualcuno mi facesse notare che la prima accezione è “arto”, che solo una persona malata di mente potrebbe fare l’associazione “membri-peni” in quel contesto, e che “membri della community” sarebbe andato benissimo.

È chiaro che se queste obiezioni le avesse mosse la committenza, avrei dovuto apportare delle modifiche che non mi vedevano d’accordo, perché client is king. Ma fino a che punto è giusto rassegnarsi all’idea che i gusti sono gusti ed è tutto soggettivo?

Coltivare la sensibilità per le parole

Io credo che la sensibilità per le parole vada coltivata, a prescindere che la committenza possa essere d’accordo con noi sulla scelta di un dato termine. Le accezioni e le connotazioni sono scritte sul dizionario e alla portata di chiunque, mentre tutto quello che una parola evoca a livello culturale ed emotivo va approfondito con un lavoro ad hoc. Un impegno quotidiano, che a mio avviso dovrebbe portarci a sviluppare uno spirito critico verso tutta la comunicazione che ci circonda, pubblicitaria e non. Gli spunti di riflessione e di approfondimento possono nascere da un post sui social come da un articolo di giornale o uno spot radiofonico. Per quale motivo chi ha scritto il testo ha scelto quel termine? Che effetto fa su chi legge? E se invece avesse utilizzato quest’altro vocabolo?

Come ho sottolineato in più punti, una componente soggettiva c’è sempre e dobbiamo farcene una ragione. Ma avere una maggiore consapevolezza del potere evocativo delle parole sta alla base del lavoro di copywriter e di specialista della transcreation. Del resto, c’è chi la lingua la subisce e chi invece è consapevole dei suoi risvolti nascosti: è questa la differenza che intercorre tra persona comune e professionista.