21 Settembre 2019In Interpretazione7 Minuti

Perché l’interprete professionista fa bene alla radio

Come interprete professionista specializzata in musica, lavoro con l’inglese e l’italiano al fianco di artisti stranieri impegnati in attività promozionali. Le situazioni più classiche sono le interviste singole, le round table e le conferenze stampa, ma a volte traduco anche a programmi radiofonici. Spero sia solo una mia impressione, ma mi sono fatta l’idea che spesso la presenza dell’interprete in radio sia ritenuta superflua, se non addirittura poco gradita.

3 preconcetti nei confronti degli interpreti in radio

Ammesso che una certa diffidenza nei confronti degli interpreti ci sia (ripeto, magari è solo una mia impressione e sarei ben felice di essere smentita!), quali sono i possibili motivi?

Preconcetto n. 1
“L’interprete parla in modo strano”

Inizio con una battuta: forse i conduttori radiofonici temono che gli interpreti parlino con il birignao di Paolo Kessisoglu in questo noto sketch.

Ovviamente la parlata di Paolo-interprete che traduce Luca Bizzarri-Osama bin Laden è una caricatura, ma un fondo di verità c’è. A volte gli interpreti non si rendono conto di avere un eloquio che risulta poco naturale. E che quindi sarebbe inadeguato in radio, dove è necessario esprimersi in modo incisivo e con un ritmo serrato, soprattutto nei programmi rivolti a un pubblico più giovane.

Preconcetto n. 2
“L’interprete non mi serve perché so parlare inglese”

Bisogna anche riconoscere che molti conduttori radiofonici sanno l’inglese e sono perfettamente in grado di dialogare con gli ospiti internazionali. È questo il motivo principale per cui reputano di poter fare a meno degli interpreti.

Preconcetto n. 3
“L’interprete non c’entra nulla con il mio programma”

Infine, forse in radio regna la convinzione che l’interprete risulterebbe una presenza un po’ fuori contesto e quindi “rovinerebbe l’atmosfera” del programma. Spesso i conduttori fanno uno humor comprensibile solo a chi già li conosce (quelle battute che in inglese si chiamano inside jokes). È necessario che l’interprete sappia ambientarsi nel loro mondo, cogliere i loro riferimenti e suonare come “uno di loro”. Probabilmente gli speaker radiofonici partono dal presupposto che un esterno – uno che di mestiere non parla in radio, insomma – non sia in grado di farlo.

3 buoni motivi per ingaggiare un interprete professionista in radio

Per come la vedo io, l’interprete può apportare valore aggiunto a un programma radiofonico. Ecco tre buoni motivi per cui secondo me dovresti rivolgerti a un professionista.

Buon motivo n. 1
L’interprete sa usare la voce

Sembra una puntualizzazione banale, ma non lo è per niente. L’interprete traduce a voce (il traduttore invece traduce per iscritto) curando tanto ciò che dice quanto come lo dice, voce inclusa. E anche dizione, per quanto possibile. O almeno io cerco di farlo, ma un po’ di clemenza, per favore, perché un minimo di accento veneto mi è rimasto!

Qui la voce è sempre la mia, ma con la tipica compressione della radio.

Buon motivo n. 2
L’interprete è lì per tradurre, non per fare conversazione

I conduttori radiofonici che sanno bene l’inglese e sono in grado di interagire con un ospite straniero hanno tutta la mia ammirazione. Però c’è un equivoco di fondo che va chiarito: parlare è una cosa, tradurre è un’altra. Il compito dell’interprete non è quello di dialogare con l’ospite in lingua straniera. Chi traduce professionalmente è ingaggiato per:

  • tradurre le domande del conduttore, tendenzialmente in modo rapido e conciso (siamo in radio e ci sono dei tempi da rispettare)
  • comprendere la risposta dell’artista straniero (ahimè anche se ha un accento regionale ostico oppure non è madrelingua)
  • memorizzare la risposta dell’artista straniero (per questo l’interprete solitamente prende appunti, peraltro con una tecnica particolare propria dell’interpretazione consecutiva)
  • restituire i contenuti dell’artista straniero parlando a velocità sostenuta (sempre per via dei tempi) ma in modo esaustivo.
    L’ospite internazionale non conosce l’italiano, evidentemente, ma se le sue risposte ricche di dettagli sono state liquidate nella nostra lingua con due parole in croce, se ne accorge. Eccome se se ne accorge… Al di là di questo, però, tradurre le risposte dell’ospite con precisione e completezza rende un servizio migliore agli ascoltatori che seguono il programma e non vogliono sentirsi esclusi.

Peraltro ogni interpretariato richiede una lunga preparazione, anche se l’incarico in sé dura solo venti minuti. Personalmente cerco di studiare vita, morte e miracoli della persona che accompagnerò, perché più ne so, più capisco e meglio trasmetto il messaggio. Essermi occupata della traduzione scritta del press kit di Kygo (sono anche traduttrice) mi ha certamente avvantaggiata quando, qualche mese dopo, sono stata ingaggiata come sua interprete per una diretta radiofonica. Tuttavia documentarsi a dovere su biografia e discografia dell’artista non è sufficiente. Bisogna proprio conoscere la musica come macro-settore: generi musicali, principali esponenti, riferimenti impliciti. E il mio background di giornalista musicale mi dà una marcia in più in tal senso.

Buon motivo n. 3
L’interprete è un camaleonte

Un interprete degno di tale nome si adatta perfettamente all’ambiente circostante. Se il contesto è serio, anche l’interprete sarà serio. Ma se la situazione lo richiede, l’interprete può addirittura diventare protagonista involontario di un siparietto comico. Senti come Albertino e i suoi mi hanno “tirata in mezzo”!

Sono un’interprete specializzata in musica con un background nel giornalismo musicale. Ti va di conoscermi meglio?