Traduzione delle dichiarazioni dei musicisti
9 Settembre 2020In Traduzione15 Minuti

I virgolettati dei musicisti: trappole e insidie nella traduzione dall’inglese all’italiano

In un articolo di giornale o in un comunicato stampa, la dichiarazione dell’artista occupa un ruolo di primo piano. Il virgolettato, infatti, non ci aiuta solamente a comprendere meglio la sua musica, ma anche il suo modo di essere.


Il lessico è ricercato o essenziale?
C’è qualche citazione colta?
Il linguaggio è concreto oppure metaforico?
Tutti questi elementi ci rivelano qualcosa sulla personalità della star di turno.

Se le dichiarazioni virgolettate vanno tradotte dall’inglese all’italiano, potrebbe venire spontaneo renderle nel modo più fedele possibile. In fin dei conti stiamo mettendo in bocca delle parole a un personaggio famoso e quindi meglio non prendersi troppe libertà, si potrebbe pensare.

In realtà, spesso questo approccio si rivela controproducente. Per almeno tre motivi diversi.

1. Cioè, il virgolettato anglosassone è verbatim.

Nel mondo anglosassone, le dichiarazioni di solito vengono trascritte parola per parola, con tutte le sbavature del parlato. In Italia invece si preferisce “mettere in bella copia” quanto affermato dallartista. Non sta a me dire se una prassi sia più corretta dell’altra: resta il fatto che questa differenza c’è e a mio avviso bisogna tenerne conto anche in sede di traduzione dall’inglese all’italiano.

Prendiamo un estratto dell’intervista a Taylor Swift pubblicata nel 2019 sul Guardian, autorevole quotidiano britannico.

Taylor Swift è una popstar, peraltro decretata da Forbes la celebrità più pagata al mondo nel 2019, ma anche un’attivista politica. E proprio di politica parla nel frammento riportato sopra. Tradurre pedissequamente virgolettati come questi, a mio avviso, rischierebbe di banalizzare i contenuti espressi della cantante. Noi italiani non siamo abituati a leggere dichiarazioni trascritte parola per parola, e i suoi vari “e poi sai”, “oddio” e addirittura “puah” potrebbero farci storcere il naso.

Questo discorso vale per un pezzo giornalistico come per una cartella stampa. Ecco una citazione tratta dal comunicato con cui Jessie J lanciava il suo disco di Natale (2018):

I love Christmas music and finally had the opportunity to record a Christmas album, I hope you enjoy the music with your loved ones and create magical memories at my favourite time of the year.”

La sintassi, che in questo caso specifico è principale + congiunzione + principale + virgola + principale + congiunzione + principale (ovvero paratassi), rimanda chiaramente all’oralità. Peraltro la frase è anche un po’ lunga per gli standard dell’inglese, lingua che magari metterebbe un bel punto dopo “album”. Qui il periodo prosegue con una virgola perché vuole restituire l’immediatezza del parlato. Ma credo che noi saremmo portati a inserire i due punti dopo “album”, oppure a spezzare la frase in due con un punto fermo. È una questione culturale: noi italiani ci aspettiamo che il virgolettato sia un’affermazione incisiva, non una sbobinatura.

2. Cioè, il virgolettato anglosassone è verbatim, ca**o!

Piccola divagazione, che poi tanto divagazione non è. Prima di lavorare come interprete alla conferenza stampa di Noel Gallagher, fui assalita da un dubbio: sarà il caso di tradurre le parolacce? Perché Noel normalmente ne spara tante, tantissime. Quella volta non fece eccezione: un “fucking” in ogni frase o quasi. Se però il termine colorito è parte integrante del modo di parlare di una persona, risulta difficile considerarlo “un’espressione estremamente offensiva usata per dare enfasi a ciò che si dice, in particolare per trasmettere rabbia”, mi convinsi. E quando l’enfasi – o forse dovrei chiamarla cazzimma? – c’è, la si può dare in altri modi, ad esempio con la voce. Così scelsi di non tradurre le volgarità e rendere invece il piglio rock di Noel con un tono a tratti aggressivo. Anche perché diciamocelo: quanti artisti italiani in conferenza stampa snocciolerebbero “cazzo” a ogni piè sospinto? (Quand’anche lo facessero, i giornalisti italiani poi ometterebbero tali scabrosità nei loro articoli.) Per noi essere sboccati in pubblico è quasi un tabù. Ma non perché “cazzo” sia più pesante di “fucking”. Ne parlavo con la mia collega inglese Fuschia Hutton, e l’impressione è che per i musicisti d’Oltremanica la parolaccia, un tempo simbolo di irriverenza e anticonformismo, si sia trasformata in intercalare. Un filler di cui abusano quando parlano a ruota libera con i giornalisti, ma che tendono a evitare durante le dirette radiofoniche e televisive, probabilmente su raccomandazione dei conduttori.

Per tornare a bomba sul tema della traduzione scritta: se un musicista di lingua inglese usa la parolaccia in modo diverso da un artista nostrano, e se il virgolettato anglosassone è la trascrizione verbatim delle sue dichiarazioni, è inevitabile che articoli e comunicati siano un concentrato di trivialità. Per come la vedo io, in traduzione verso l’italiano è opportuno procedere con cautela. Una resa fedele all’originale, infatti, risulterebbe straniante per i lettori e potrebbe ripercuotersi negativamente sull’immagine dell’artista.

In più, c’è artista e artista, personaggio e personaggio. Che sia un giovane indie rocker inglese a lasciarsi scappare un “fucking”, poi ripreso nero su bianco sul profilo biografico diramato dal suo ufficio stampa, non sorprende granché. Cito dalla bio di Miles Kane del 2011:

To say I’ve ‘found myself’ is a bit extreme,” he says with a smile. “But it has been that idea of finding out who you are and showing that in your songs – and I think the record shows that. Doing those first four tracks it felt fucking great,” adds the perma-bright Wirral lad. “And where I am now, I’ve settled into it, and I’m starting to do my things and talk about all the songs – well, I’m living my dream.”

Idem con patate per il già citato Noel Gallagher. Di seguito una dichiarazione tratta dal comunicato del 2016 che annunciava l’uscita della versione rimasterizzata di Be Here Now degli Oasis:

Says Noel of the new mix, titled ‘NG’s 2016 Rethink’, “As the years went by I’d started to accept that the songs on ‘Be Here Now’ were in fact insanely long… too long! Someone (I can’t remember who) had the idea that we re-visit, re-edit the entire album for posterities sake. We got as far as the first track before we couldn’t be arsed anymore and gave up….it does sound fucking mega though!”

Più curioso, invece, quando a proferire scurrilità è una stella del pop come Dua Lipa. In questa lunga intervista rilasciata al Guardian (ribadisco, autorevole quotidiano inglese, non una rivista musicale rivolta a un pubblico giovane) se ne contano parecchie, tutte immortalate in questo screenshot.

Per scrupolo, spostiamoci oltreoceano e vediamo se cambia qualcosa. Nel 2019 Vanity Fair, celebre rivista americana di costume, cultura, moda e politica, pubblica un’intervista ad Ariana Grande, attualmente la cantante più ascoltata al mondo su Spotify.

La dichiarazione è citata testualmente: oltre alla paratassi (“and… and… and”) e ai riempitivi (“like”) tipici del parlato, compaiono anche la S-word e la F-word.

Insomma, nel Regno Unito come negli Stati Uniti, nei comunicati stampa come negli articoli di giornale, le affermazioni degli artisti vengono riportate pari pari. Ossia parolacce incluse. A mio avviso, prima di riproporre le espressioni forti anche in italiano, è meglio valutarne attentamente le implicazioni. In contesti del genere la fedeltà traduttiva può essere pericolosa, perché non considera né la cultura di partenza, né la sensibilità del pubblico di destinazione.

3. Cioè, il virgolettato anglosassone è verbatim e spesso contiene termini usati a ca**o di cane.

Scrivere di musica è come danzare d’architettura, diceva qualcuno a proposito dell’improbo compito dei critici musicali. Ma spiegare la propria musica o il proprio processo creativo ai giornalisti non è necessariamente più semplice. Rassegnati di fronte a questa ineffabilità, i musicisti finiscono per ricorrere a termini imprecisi, a volte tratti da altri ambiti artistici. Risultato? Prima di tradurre la dichiarazione di un artista, secondo me bisogna approfondire il suo modo di parlare per poter comprendere il significato che sta dietro alle parole che usa. Altrimenti si prendono cantonate.

Un termine che mi affascina particolarmente è l’aggettivo “organic” (fonte: Macmillan English Dictionary).

Il dizionario inglese-italiano fornisce due traducenti: “organico” e “biologico” (fonte: Dizionario inglese-italiano italiano-inglese Ragazzini 2013).

Passiamo ora ai significati di “organico” in italiano (fonte: Lo Zingarelli 2018. Vocabolario della lingua italiana).

In pratica, se prendiamo “organic” in inglese e “organico” in italiano, notiamo che alcune accezioni si sovrappongono (come “chimica organica”, “un tutto organico”, “riforma organica”) e altre invece no (“organic farming” in italiano si dice “coltivazione biologica”).

Questi sono i significati canonici dell’aggettivo “organic”. Mi sembra però che i musicisti utilizzino questo termine con accezioni diverse, come mi conferma Steve Jones, studioso americano di tecnologia, comunicazione e musica.

Qualche esempio?

Christina Aguilera, comunicato stampa dell’album Bionic (2010):

Aguilera describes the album as a unique mix of many genres and styles of music, “I was able to explore and create a fresh, sexy feel using both electronic and organic elements with subject matter ranging from playful to introspective. I am so excited for my fans to hear the new sound. It is something I don’t think anyone will expect.

La cantante non intende questo aggettivo con i significati che abbiamo visto finora. Verosimilmente con “organic elements” allude a strumenti non elettronici, ma non necessariamente acustici: chitarra elettrica sì, sintetizzatore no.

Sempre Christina Aguilera, track-by-track dello stesso album:

Nothing really electronically driven was put onto these records. It’s really raw and organic and sweet and simple and beautiful. Sia and Sam were genius.

Stavolta la sfumatura è leggermente diversa. In quella frase, “organic” sembra definire una musica nata senza ricorso all’elettronica e ai computer.
(Nota a margine: visto quanti “and”? Ennesima conferma che il virgolettato anglosassone ricalca fedelmente il parlato.)

Comunicato stampa di Delta Machine dei Depeche Mode (2013):

Dave Gahan added, “With this release we’ve completely shifted our idea of how to create an album. When we hit a wall where we realize the album is beginning to sound too normal, we’ll mess it up and really give it that organic Depeche Mode Sound. Delta Machine is no different, and I can’t wait for all of our fans to hear it.”

Qui “organic [Depeche Mode Sound]” è forse usato nel senso di “viscerale” o “istintivo”.

Infine la bio dei Soulsavers, progetto di Dave Gahan dei Depeche Mode e Rich Machin (2015):

On top of the logistical nightmare of capturing all these players’ performances on tape, Dave and Rich wanted “a live-in-the-room sounding album”. Says Rich: “We were listening to loads of old Ray Charles records. We wanted that organic, roomy-y sounding thing, and we got to use some great rooms this time.”

In questo caso “organic” sembra racchiudere l’idea di autenticità e di “immediatezza live”.

Quattro occorrenze di “organic” e quattro sfumature diverse. Tradurre d’ufficio “organic” con “organico” perché lo dice il vocabolario è una soluzione fin troppo semplicistica. Solo dopo aver considerato chi è l’artista e in quale contesto utilizza una determinata parola ci si può mettere alla ricerca del traducente più idoneo.
Che 99 volte su 100 non si trova in nessun dizionario.